Le foto di gruppo con sguardi in disordine sparso
29 Gennaio 2021 LA FOTOGRAFIA SECONDO DIEGO by Diego Taroni
Ogni tanto mia mamma apre strane scatole contenenti foto di tutti i tipi. È bello vedere le foto di gruppo di quando mio nonno era ginnasta alla Farnesina, vedere le foto della squadra di calcio quando ero ragazzino… cose meravigliose.
Erano tempi però in cui tutti guardavano chi stava effettuando lo scatto. Al di là di una necessità di ordine, che può apparire soggettiva, l’impressione comunque era di gruppi di grande unità.
Quelle immagini rievocano infatti momenti in cui il gruppo era un tutt’uno. La fotografia non ritraeva solo un gruppo di persone, ritraeva una sola anima.
Sarò forse un po’ nostalgico o romantico, però quelle immagini mi danno una sensazione forte. Il fatto che i soggetti guardassero tutti in un’unica direzione fa capire chiaramente che quel momento era importante.
Chi faceva la foto era importante perché stava realizzando un ricordo che si sarebbe guardato dopo chissà quanto tempo.
Ora invece è ben raro, dalle nostre parti, riuscire a fare una foto di gruppo in cui tutti guardano chi sta effettuando lo scatto. Anche se si tratta di uno sparuto gruppo di quattro persone, ottenere che lo sguardo di tutti vada in un’unica direzione è impresa titanica. Il motivo è molto semplice: si tratta dei soliti telefonini che imperversano durante ogni tipo di evento. Il problema è diviso equamente fra chi non riesce a controllare il proprio sguardo e chi si sistema a fianco del fotografo nel tentativo di realizzare l’opera tanto agognata, ovvero una strepitosa foto storta, spesso fuori fuoco e quasi sempre sottoesposta. Ma il fatto è che questa foto non serve assolutamente a nulla.
Mentre il fotografo sta realizzando qualcosa che farà commuovere a distanza di decenni, l’invitato ha come unica missione quella di rovinare questo ricordo distraendo i soggetti ritratti e creando un meraviglioso caos e un’immagine che ovviamente finirà nel nulla cosmico.
Si vanterà con amici e parenti di quello scatto, compiacendosi, assumendo espressioni che tanto ricordano Raniero in “Viaggi di nozze”.
Spesso mi capita di spiegare il motivo per cui è meglio evitare di fare i “guastatori”, ma puntualmente mi rendo conto che sarebbe più facile spiegare la fusione nucleare fredda.
Potenzialmente queste persone sarebbero anche in grado di capire cosa stanno facendo ma il telefono ha ormai preso il sopravvento sulle loro menti.
Colpevoli però sono anche soggetti ritratti. Non è così difficile mantenere lo sguardo su chi effettua lo scatto. Non è nemmeno così difficile resistere con gli occhi aperti 10 secondi, soprattutto in luoghi chiusi. Anche perché ci sono popoli che sono perfettamente in grado di fare questa cosa e stiamo parlando del popolo più tecnologico del mondo: i giapponesi, ovviamente.
Perché certe persone sono in grado di guardare in una sola direzione senza chiudere gli occhi e invece da noi bisogna rifare lo scatto 30 volte e a volte ci si arrende prima di averlo ottenuto?
È semplicemente una questione di rispetto. Rispetto nei confronti di chi sta eseguendo lo scatto, ma forse e soprattutto rispetto per sé stessi.
Non so quale dei due sia più importante, ma il risultato è di ricevere immagini senza tempo. Quelle foto di gruppo che danno quella sensazione di unità, ti fanno sentire parte di “una cosa sola”.
Spesso, quando cerchiamo di limitare i danni a vantaggio dei nostri clienti, ci fanno presente di essere troppo severi.
In realtà abbiamo solo uno spiccato senso di responsabilità nei confronti di chi ci ha ingaggiato.
Ci piace pensare che quello che stiamo facendo produrrà ciò che io sento nel cuore ogni volta che mia mamma apre quella scatola.
Credo che non smetterò mai di irridere chi rovina questo magico momento. Fintantoché gli sposi continueranno a ringraziarmi a fine giornata per avere gestito le situazioni con polso, spesso scusandosi per la presenza di guastatori che avrebbero narcotizzato volentieri.
Lo sguardo grato degli sposi nella mia direzione... il mio sguardo rassicurante nella loro. Noi ci capiamo.
Aprirete quella scatola.
E sarebbe bellissimo non trovare sguardi in disordine sparso.